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Indagine di Unobravo rivela l’aumento di stress vissuto dai genitori nella fase pre-ferie

Con la fine della scuola e l’inizio dell’estate, per molte famiglie italiane inizia un periodo di fatica emotiva e gestionale. Unobravo, servizio di psicologia online e Società Benefit ha condotto una survey interna tra i suoi terapeuti per indagare il fenomeno della “Family Fatigue”, ovvero lo stress vissuto dai genitori nei mesi estivi in cui devono affrontare un nuovo equilibrio tra figli a casa e lavoro ancora in corso.

Secondo i risultati della survey, informa una nota, più della metà dei terapeuti Unobravo riferisce che i genitori riportano spesso o molto spesso un aumento dello stress durante il periodo estivo (68%). Si tratta di un momento di transizione spesso sottovalutato, in cui la gestione quotidiana cambia improvvisamente ritmo, ma gli impegni lavorativi restano invariati. Ovviamente lo stress estivo non colpisce tutti allo stesso modo, e infatti dalla survey emerge che a essere particolarmente esposti sono i genitori lavoratori privi di supporti esterni (62%), seguiti dalle coppie con figli da 0 a 5 anni (40%) e da chi ha bambini con bisogni speciali (30%).

Analizzando poi queste categorie da un punto di vista di genere, i professionisti clinici interpellati indicano che a soffrire maggiormente sono soprattutto le donne (85%), che continuano a farsi carico in misura maggiore della gestione familiare. Guardando ai fattori di stress estivo più frequentemente riportati dai genitori durante il percorso psicologico, troviamo al primo posto la difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia (73%). Seguono i costi elevati per centri estivi o babysitter (67%) e, ancora, l’assenza di supporto da parte di familiari o di una rete sociale di riferimento (40%).

Questo carico mentale si traduce in un impatto emotivo concreto: i terapeuti di Unobravo riferiscono che gli stati d’animo più frequentemente riportati dai genitori durante l’estate sono stanchezza mentale (75%), frustrazione (56%) e irritabilità (53%). Parallelamente, il 72% degli specialisti osserva un aumento della preoccupazione riguardo al tempo che i figli trascorrono online: per alcuni terapeuti questa crescita è molto significativa, per altri leggermente maggiore rispetto ad altri periodi dell’anno, spesso perché il tempo online rappresenta l’unica forma di intrattenimento in assenza di alternative strutturate.

In risposta a queste difficoltà, dalla survey emergono anche alcune strategie che i genitori ritengono utili per gestire meglio lo stress estivo. Tra le più efficaci, l’iscrizione dei figli ai centri estivi (62%) si conferma una soluzione importante, così come il coinvolgimento attivo del partner o della rete familiare (57%), che permette di suddividere i carichi di cura e supporto.

Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo, commenta: “Quello che emerge con chiarezza da questa indagine è che il carico mentale continua a gravare in misura maggiore sulle donne, che spesso si trovano ad affrontare da sole l’organizzazione familiare, soprattutto nei periodi in cui i punti di riferimento, come la scuola e la rete di supporto parentale e/o amicale, vengono meno. Ma è importante ricordare che la ‘fatigue’ estiva non riguarda solo le madri: anche chi non ha figli vive spesso un senso di sovraccarico emotivo e pratico legato a responsabilità lavorative, sociali o legate alla famiglia d’origine, che aumentano proprio nei mesi in cui ci si aspetterebbe una pausa. Riconoscere la propria fatica è il primo passo per prendersene cura con maggiore consapevolezza”.

Per il 71% dei terapeuti Unobravo, il periodo estivo rappresenta quindi un momento difficile per il benessere psicologico dei genitori. Sorprende però come questo disagio non si traduca in un aumento significativo delle richieste di supporto psicologico: il 44% degli specialisti rileva infatti una domanda sostanzialmente stabile nel corso dell’anno.

Questi dati evidenziano quanto sia fondamentale riconoscere e affrontare le difficoltà legate alla gestione dello stress in un periodo in cui prendersi cura della propria salute mentale può sembrare un ulteriore impegno in una quotidianità già complessa. Diventa quindi essenziale promuovere una maggiore consapevolezza sull’importanza del benessere psicologico e garantire l’accesso a strumenti di supporto flessibili e facilmente fruibili, capaci di accompagnare le famiglie in quei momenti in cui il riposo può sembrare un lusso lontano.

Fonte: askanews.it

Ricerca clinica apre prospettive al supporto nutrizionale nella patologia reumatica

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica sistemica che colpisce milioni di persone nel mondo, provocando dolore, rigidità articolare e un generale peggioramento della qualità della vita. Ma a essere compromesso, spesso in modo meno visibile, è anche lo stato nutrizionale del paziente: affaticamento, perdita di appetito e difficoltà nella preparazione dei pasti contribuiscono a deficit energetici e carenze di fibre, elementi chiave per il mantenimento di un buon stato di salute.

La dieta, informa una nota, gioca un ruolo cruciale nella gestione della AR. Lo stato nutrizionale dei pazienti affetti da AR è compromesso dall’infiammazione cronica e da altri fattori associati alla malattia, richiedendo quindi una gestione dietetica mirata, che non può essere efficacemente ottenuta solo attraverso alimenti convenzionali.

In questo contesto si inserisce lo studio MIKARA, pubblicato su Nutrients nel 2023, che ha esplorato gli effetti di una combinazione nutrizionale a base di trigliceridi a media catena (MCT) e fibre solubili e insolubili in pazienti con AR. Il trial, della durata di 16 settimane e condotto in doppio cieco con gruppo placebo, ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa dell’attività della malattia, misurata attraverso l’indice SDAI (Simplified Disease Activity Index). In particolare, è emersa una correlazione tra l’assunzione di Mikara Shake e l’aumento dei livelli ematici di beta-idrossibutirrato (BHB), corpo chetonico prodotto durante la chetogenesi. Questo processo permetterebbe di soddisfare eventuali carenze energetiche legate all’AR, dal momento che i corpi chetonici rappresentano una fonte di energia rapidamente disponibile. Inoltre, il BHB è noto per le sue proprietà antinfiammatorie, che giustificherebbero in parte i benefici osservati durante il trial. Le fibre, derivate da fonti naturali come bambù e psillio, si sono rese particolarmente utili per il raggiungimento del fabbisogno giornaliero di fibre suggerito dalle linee guida europee e prevenendo dunque le possibili carenze che spesso caratterizzano questi pazienti.

“I pazienti con artrite reumatoide affrontano ogni giorno difficoltà che vanno oltre i sintomi articolari: l’affaticamento, la perdita di appetito e le limitazioni fisiche rendono complesso mantenere un’alimentazione adeguata, aggravando condizioni già compromesse dal punto di vista metabolico” – spiega la Prof.ssa Francesca Ingegnoli, Reumatologa dell’ASST Gaetano Pini CTO di Milano e Docente di Reumatologia all’Università degli Studi di Milano – “Lo studio MIKARA suggerisce che un supporto nutrizionale mirato, basato su MCT e fibre, può rappresentare un complemento utile alla terapia farmacologica, contribuendo in modo integrato a migliorare il quadro clinico generale”.

La formulazione testata nella ricerca, Mikara Shake – sviluppata da Dr. Schär – è stata selezionata per la sua composizione avanzata, e rappresenta un esempio virtuoso di come l’innovazione nutrizionale possa entrare a far parte di un modello di cura che comprende anche l’aspetto nutrizionale. In un’ottica di medicina sempre più personalizzata e multidimensionale, l’intervento nutrizionale emerge come strumento concreto e sicuro per affiancare la terapia convenzionale, promuovendo una maggiore aderenza alle cure e contribuendo al miglioramento complessivo della qualità della vita

Oltre agli esiti clinici, lo studio MIKARA evidenzia il valore di un intervento che agisce anche sul piano della quotidianità del paziente. L’introduzione di una formulazione nutrizionale semplice da assumere, non invasiva e facilmente integrabile nella routine alimentare si traduce in una maggiore autonomia, in una riduzione dello stress legato alla gestione del pasto e in un miglior equilibrio psicofisico. Si tratta di benefici spesso trascurati nella valutazione dei trattamenti, ma fondamentali per rafforzare la motivazione, migliorare l’aderenza alla terapia e sostenere il benessere complessivo della persona nel lungo termine. In questo senso la nutrizione si configura come supporto aggiuntivo per chi convive con una malattia cronica.

Fonte: askanews.it

La Società Italiana di Nefrologia lancia il monito: più idratazione nel periodo più caldo

Recenti dati confermano una prevalenza di calcolosi renale (o litiasi renale) compresa tra il 6,8% e il 10,1% della popolazione, con recidive che si verificano tra il 30% e il 50% dei casi entro 5-10 anni dal primo episodio, principalmente tra i soggetti di sesso maschile. Si stima inoltre una maggiore incidenza tra i 30 e i 60 anni. Il picco maggiore avviene durante la stagione estiva. Analogamente non va trascurato il rischio di peggioramenti acuti della funzione renale per sudorazioni profuse soprattutto negli anziani.

“La disidratazione (carenza di acqua nel nostro organismo) è uno dei principali fattori di rischio per la formazione dei calcoli renali, soprattutto in estate, quando la sudorazione aumenta e le urine si concentrano. Se la sudorazione aumenta ed è continua, come ormai accade spesso visto il cambiamento climatico, si può anche sviluppare una insufficienza renale acuta da deplezione di colume (carenza di sodio nel nostro organismo). I reni sono gli organi più intelligenti del nostro corpo: lavorano in silenzio per mantenere l’equilibrio di acqua, sali, pressione e vitamine. Ma senza una corretta idratazione ed un apporto sufficiente di sale, non possono fare il loro lavoro”. È quanto spiega Luca De Nicola, Presidente della Società Italiana di Nefrologia (SIN) e Professore Ordinario presso l’Università Vanvitelli di Napoli.

Durante l’estate, infatti, la perdita di liquidi e sodio attraverso il sudore porta a una riduzione del volume di plasma e all’aumento della concentrazione urinaria. Questa condizione favorisce la precipitazione dei sali (in particolare calcio e ossalati), dando origine alla formazione dei calcoli. Non solo. Perdere acqua e sale può comportare una riduzione della pressione arteriosa e della irrorazione sanguigna degli organi vitali, con il rischio di andare incontro a conseguenze negative, dalle più lievi come stanchezza e ipotensione arteriosa alle più gravi quali insufficienza renale acuta, infarto e ictus.

“Il cambiamento climatico e il prolungarsi del caldo torrido per oltre quattro mesi all’anno – sottolinea De Nicola – rendono questo problema sempre più frequente. I calcoli renali – continua De Nicola – si manifestano spesso con coliche improvvise e violente di intensità simile al dolore “da parto”. Un dolore trafittivo, localizzato nella parte bassa della schiena, che può irradiarsi verso l’inguine. Il paziente colpito è in genere agitato, in cerca di sollievo, a differenza di chi soffre di lombosciatalgia che tende invece a restare immobile”. La maggior parte dei calcoli (circa l’80-90%) è composta da ossalato o fosfato di calcio; più rari quelli da acido urico, struvite o cistina. I calcoli inferiori al centimetro spesso vengono espulsi spontaneamente con terapie farmacologiche, mentre i più grandi (oltre 1-2 cm) richiedono litotrissia o, in rari casi, l’intervento chirurgico.

Come reagire al dolore della colica renale Per alleviare il dolore, oltre ad antidolorifici e/o antinfiammatori secondo consiglio medico, si consiglia di applicare un panno caldo o fare un bagno per rilassare la muscolatura liscia e l’uretere, favorendo così l’espulsione del calcolo (nel caso di calcoli piccoli).

La prevenzione comincia dall’idratazione. Tre litri di acqua al giorno: è questa la dose raccomandata d’estate per chi soffre di calcolosi o vuole prevenirla. Oltre all’acqua anche l’alimentazione aiuta l’idratazione: frutta, verdura, tisane e l’uso (mirato) di citrato di potassio possono favorire un profilo urinario protettivo. Al contrario, l’eccesso di carne rossa, spinaci, crusca e frutta secca può essere controproducente nelle persone predisposte a sviluppare calcolosi renale.

Un mito da sfatare. Ridurre l’introito di calcio non previene i calcoli renali. “Non bisogna eliminare dalla dieta il calcio, anzi: è fondamentale per le ossa. Il vero problema è la disidratazione, non il latte o i latticini” – chiarisce il Presidente SIN, Luca De Nicola.

Prendersi cura dei reni durante l’estate. L’estate non solo aumenta il rischio di calcolosi ma anche quello di insufficienza renale acuta, soprattutto negli anziani, che hanno una ridotta capacità di trattenere il sale- continua il Presidente De Nicola. Necessario, pertanto, aumentare in questo periodo l’introito di sale se la pressione arteriosa è normale ( 130/80 mmHg) e non è presente edema generalizzato da scompenso cardiaco o cirrosi epatica scompensata. Prendersi cura dei reni significa proteggere l’intero organismo e, in particolare, il cuore. La Malattia Renale Cronica è oggi la prima malattia cronica nel mondo per incidenza. Eppure, dal momento che non dà sintomi fino agli stadi avanzati, solo il 10% dei pazienti è consapevole di essere malato ed è quindi seguito da un nefrologo.

L’impegno della SIN e della comunità nefrologica tutta. La SIN, in collaborazione con il Ministero della Salute, ha redatto un Percorso Preventivo Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PPDTA), già inviato a tutte le Regioni, per migliorare la presa in carico dei pazienti e prevenire complicanze, ma anche per aumentare consapevolezza e prevenzione da parte della popolazione generale.

Contestualmente, è all’esame del Parlamento una proposta di legge per avviare screening nazionali presso i Medici di Medicina Generale (MMG) nelle popolazioni a rischio, ossia diabetici, ipertesi, obesi e cardiopatici. Il disegno di legge, a firma degli Onorevoli Mulè e Patriarca, è ora in discussione in Parlamento.

Infine, è storica la dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 23 maggio scorso che riconosce la Malattia Renale Cronica quale priorità di salute pubblica. Un traguardo di enorme valore che consente di agire con più forza in partnership con le Istituzioni per la prevenzione primaria e secondaria della MRC.

Fonte: askanews.it